2017.

“Così, caro 2016, io ti confesso che sono arrivata ad odiarti, però guardami: ti saluto con rabbia, occhi lucidi e gambe tremanti, ma ti lascio andar via con la speranza che i giorni che verranno sapranno aiutarmi a perdonarti”.

Ricomincio da qui: dalla notte in cui sedendomi di fronte a una tastiera ho lasciato scivolare la verità lungo le dita fino ai polpastrelli, per poi scrollare con decisione le mani e permetterle di cadere tutta sulla pagina bianca di fronte a me. Bianca come quella che ho davanti stasera. O meglio, bianca come quella che ho davanti da un po’. È uno di quei periodi in cui mi racconto un sacco di bugie… e siccome quando scrivo non so mentire, finisce che non scrivo più.

Allora, il mio primo proposito per il 2018 è riuscire a raccontare il mio 2017 senza rimandare ancora una volta -per paura, pudore o chissà cosa- questa strana resa dei conti con me stessa.
A voi le tre cose che quest’anno mi hanno segnata di più.

Una storia d’amore col posto in cui vivo.sant-antonio-abate

“Vivere dove vivo io, ad esempio, mi ha insegnato la sensazione angosciante di amare e odiare un posto contemporaneamente. Siamo in 20.000, rilegati all’estrema periferia di una Napoli un po’ bastarda, facile da voler bene ma troppo abile nel mandar via”. Ecco. Io questa sensazione la definisco “la questione meridionale addosso”. Perché se qualcuno viene ancora a dirmi che dove nasci non conta, che se c’è la volontà puoi realizzare tutto, io lo impacchetto e lo spedisco dritto dritto su un ghiacciaio nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. No, non puoi realizzare tutto, non è vero che bastano impegno e talento. Soprattutto, non è vero quando vivi in un posto in cui si va avanti facendo favori, svendendo consensi, rinunciando ad ideali ed implorando diritti. Mio padre sorride quando me ne esco con frasi come “io ho un’etica”. Mi dice che è d’accordo con me ma che il mondo non funziona come vorrei io e vi giuro -mai come quest’anno- ho avuto motivi per arrendermi al fatto che purtroppo ha ragione lui. Il 2017 mi ha vista litigare con questo paese fino a farci a botte. Un po’ come in una storia d’amore, è successo che io mi ero decisa a dargli un’altra occasione e che lui l’ha sprecata ripetendo con più intensità di prima gli stessi errori che un tempo avevano rischiato di allontanarci per sempre. Così a un certo punto mi sono stufata di impegnarmi tanto per lui e di ricevere in cambio così poco e gli ho scritto una lettera d’addio, una di quelle lunghe e romantiche che piacciono a me. Poi la sorpresa: lui che una sera si presenta con un mazzo di dodici rose rosse (e non è un numero casuale) e mi chiede se ci possiamo riprovare. Da allora è stata “tutta n’ata storia”: una storia di coraggio e passione, di notti insonni in nome di ideali condivisi, di giornate frenetiche e fotografie con le occhiaie per immortalare una stanchezza che sa di soddisfazione, quasi quella che si prova dopo aver fatto l’amore.

L’anno della laurea mancata.

fogli-che-volano

Era il 25 novembre 2015 quando ho festeggiato la mia laurea in lingue conquistata in tre anni con tanto di lode. Da quel giorno -il più bello della mia vita probabilmente- ho a lungo pensato che avrei fatto il bis in due anni chiudendo brillantemente i miei studi magistrali nel 2017. Solo che il 2017 è terminato e la mia carriera universitaria dovrà aspettare ancora un po’. Mi è capitato spesso, negli ultimi mesi, di sentirmi assalire dai sensi di colpa per la mia laurea mancata. Mi sono chiesta decine di volte se non avessi deluso le aspettative di qualcuno (le mie di sicuro) e se contemporaneamente non avessi dato troppa soddisfazione a chi da lontano sperava silenziosamente nel fallimento a cui in un certo senso ha davvero assistito: ho saltato spesso le lezioni e rimandato più di una volta gli esami; giustificavo me stessa coi miei “troppi impegni”, tanto per non ammettere che in realtà mi sono riempita le giornate di rumori perché ogni volta che provavo a sedermi in un’aula e a concentrarmi la mia mente iniziava a vagare fino a raggiungere luoghi dove non desideravo tornare. Mentre scappavo da me, però, il mondo andava avanti, e chi mi stava intorno non capiva quasi mai dov’è che ero rimasta io. Oggi, comunque, se tiro le somme una volta per tutte, penso di dover ringraziare me stessa per i ritardi che per la prima volta ho avuto il coraggio di concedermi. Io che ho sempre pensato di dover essere perfetta, che mi sono sempre mostrata “grattacielo” anche quando dentro mi sentivo “castello di sabbia”, sono riuscita ad adeguarmi ai miei ritmi, ai miei bisogni, ai miei tempi, ignorando quello che il mondo mi chiedeva. La verità è che ho rischiato di crollare e a qualcosa dovevo pur aggrapparmi: il giornalismo, l’associazionismo, i sogni nel cassetto… tutte cose che mi hanno portato via un sacco di tempo ma che a modo loro mi hanno salvato. Chi giudica non lo sa che una laurea non ti dà neanche la metà di tutto questo.

Un lavoro vero.

macchina da scrivere

Il giornalismo era il sogno di quando ero bambina, la risposta che davo alla domanda “che farai da grande?” fino a quando “grande” non ci sono diventata davvero. A un certo punto, non saprei neanche dire quando, ho cominciato a paragonare la mia risposta a quella di una qualunque ragazzina con le treccine che dice in giro di voler fare la principessa. Così ho fatto altre scelte e preso altre vie. La scusa ufficiale era “avresti dovuto iniziare prima. Emilio Fede aveva sedici anni e già scriveva!”. In realtà, più semplicemente, sono sempre stata una codarda, una che ha aspettato ventitré anni di vita prima di inviare il suo primo curriculum, una che aveva sempre fatto finta di poter insegnare il mestiere ma che mai per un istante aveva ipotizzato di essere sufficientemente brava per una carriera vera. Poi è successo che nel 2017 è arrivata la svolta. No, non sono riuscita a convincermi che questa sia la mia strada… fatto sta che quasi per caso mi sono ritrovata a percorrerla e da allora ogni santo giorno, ad ogni santo passo, mi sorprendo del fatto che vado avanti e nonostante tutto non cado. Ci sono ancora momenti in cui non ce la faccio proprio, ma altri è meraviglioso rendersi conto di aver smentito la vocina che mi ripeteva di continuo: “lascia stare, tanto non sarai mai in grado”.

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